Tra i più famosi sogni di Don Bosco troviamo il “Sogno dei nove anni” che lui stesso racconta nelle Memorie dell’Oratorio (MO) di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855.
Le MO sono uno degli scritti più importanti di Don Bosco di indole autobiografica. Esse sono indirizzate ai suoi «carissimi figli Salesiani» con una specifica motivazione: - “servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato”; - “servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo”; - “servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre, e le leggeranno assai più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra loro” .
Don Aldo Giraudo sostiene che nelle MO, Don Bosco, mentre attua una rilettura dell’itinerario formativo personale, fa emergere i suoi quadri mentali, i tratti spirituali del suo mondo interiore, il suo modello di educatore e pastore, lo stile e le attività più originali e qualificanti del suo Oratorio.
Don Bosco stesso dice nelle MO che: «Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli / si fece minutamente raccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma.»
È interessante che alla sollecitazione del Papa di raccontare qualsiasi cosa di apparenza soprannaturale che avesse avuto un influsso sulla sua missione, Don Bosco narra questo sogno per la prima volta. Non è impossibile pensare che pur non avendone parlato, esso è rimasto profondamente impresso nel suo cuore. Nel raccontare questo sogno a distanza di più di trenta anni, Don Bosco lo carica di nuovi significati. In forma narrativa, egli presenta la traccia dell’identità oratoriana, cuore della missione salesiana.
Cerco di condividere con voi alcune riflessioni di tipo educativo su questo sogno.
Esperienze che segnano la nostra vita Don Bosco iniziò il racconto con questa espressione «ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita». Noi crediamo che Dio ci parla, ci manifesta la sua presenza e il suo amore nella vita quotidiana ordinaria. Comunque riconosciamo che ci sono esperienze che segnano la nostra vita, non tanto per la loro straordinarietà ma per il fatto che riusciamo a dar loro significati profondi e nuovi. Ed è per questo che è necessario non essere semplicemente consumatori di esperienze. Cosa vuol dire fare esperienza? «Fare esperienza significa mettere in atto un processo di unificazione tra i vari dinamismi della persona: cognitivi, emotivi, operativi, sociali, motivazionali, per giungere a scegliere il bene e il vero con la totalità del proprio essere» . Fare esperienza vuol dire riflettere sulle vicende della nostra vita per vedere la coerenza tra ciò che crediamo e ciò che realizziamo, per verificare le convinzioni che fondano la nostra esistenza, per leggere il messaggio dietro gli avvenimenti, per scoprire la nostra chiamata. Abilitandoci a fare esperienza, scopriremo che è la vita che ci svela le risposte alle nostre domande più profonde, che l’esistenza ha un significato profondo nonostante le fatiche, che c’è sempre speranza perché Dio è Padre che è sempre fedele alle sue promesse. Il sogno conclude con le parole della Donna «A suo tempo tutto comprenderai». La vita è un cammino, un viaggio pieno di sorprese. La capacità di fare esperienza ci farà vedere che c’è un filo rosso che unisce la nostra vita. Ma questo non si improvvisa, anzi, si acquista con pazienza e capacità di attendere anche lunghi spazi di gestazione.
Il cuore parla al cuore Tra le espressioni più belle trovate in questo racconto vi è: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici ». In sintesi, è lo stile salesiano. Prima di questo, Giovannino, udendo le bestemmie si è lanciato in mezzo dei fanciulli adoperando pugni e parole per farli tacere. È una fotografia chiara della passione che già, a quell’età aveva Giovannino, per quanto riguarda il “non offendere Dio”. E questa passione per la salvezza delle anime l’ha conservata per tutta la vita. Il fine, la meta è nobile: la salvezza. Ma ad essa non si arriva con la forza e la minaccia. La salvezza è un dono di Dio, è una buona notizia, e dovrebbe essere accolta come tale. Conquistare il cuore è il modo migliore per poter entrare nella vita dei/delle giovani. Esso non è soltanto un primo passo ma è ciò che deve caratterizzare il rapporto tra educatori e giovani. Questo si costruisce attraverso relazioni di vicinanza e amicizia nel contesto della vita di ogni giorno caratterizzata dalla gioia e dalla condivisione. Come diceva Don Bosco nella Lettera da Roma del 1884, «la famigliarità porta affetto e l’affetto porta confidenza … Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti». Conquistare il cuore non vuol dire solo stabilire legami di affetto con i giovani. Nel linguaggio biblico, il cuore è il centro della persona, quindi, sede delle sue convinzioni e delle sue scelte. Per questo è importante sottolineare la ragionevolezza della fede, la necessità di essere pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi la ragione della nostra speranza (Cf. 1 Pt 3, 15). Nel racconto del sogno, il personaggio luminoso dice: «Mettiti adunque immediatamente a fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». La fede in Gesù non è solo un sentimento piacevole. È un rapporto che cresce man mano che Lo si conosce. Quindi la totalità della persona è messa in gioco – sentimenti, affetti, valori, visioni. Benedetto XVI afferma: «Quando è autentica la fede cristiana non mortifica la libertà e la ragione umana… La fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali.» Scopo dell’educazione alla fede è quello di acquisire la mentalità, il cuore e la mente di Gesù per poter esercitare una capacità critica di giudicare le cose e di agire secondo i criteri del Vangelo.
L’amicizia con Gesù dà senso alla nostra vita Tutti i particolari con cui Don Bosco descrive “l’uomo” – nobilmente vestito, manto bianco, faccia luminosa, fanno capire ai lettori che qui si parla di un personaggio importante. «In quel momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo». In fatti, più tardi, si capisce che questo personaggio è Gesù: «Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestro di salutar tre volte al giorno», un’allusione all’Angelus che si recita tre volte al giorno. La centralità di Gesù nel racconto del sogno indica la centralità di Gesù nella vita di ogni persona. È solo in questo incontro personale con Gesù Cristo che sgorga la vita in pienezza. Benedetto XVI, nei suoi scritti, nei suoi discorsi e nei suoi dialoghi, fa un chiaro collegamento tra l’incontro con Gesù Cristo, volto del Dio invisibile, e la sete di felicità e la vita in abbondanza. «E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui.» L’incontro personale con Gesù non rimane a livello intimistico. Chi ha veramente incontrato Gesù si lascia interpellare dalla sua vita e dal suo messaggio. Essere amico/a di Gesù vuol dire prendere la sua parte, sentirsi figlio/a del Padre e fratello/sorella di tutta l’umanità. Siamo tutti legati da «una fraternità universale che non può essere spezzata da alcuna diversità di etnia, cultura, religione e che porta a considerare chiunque come prossimo, cioè colui che mi sta a cuore e di cui devo prendermi cura.» Don Bosco continuando il racconto afferma: «Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que' fanciulli». Il chiamare per nome indica la consegna di una missione: il progetto che dà senso e significato alla vita.
L’impegno di formarsi Un vero adulto-educatore è una persona che non si sente mai arrivata. Esso crede che mentre accompagna i giovani, lui/lei stessa cresce come persona. Quindi, non ha paura e non si sente minacciato dalle domande e dai rifiuti dei giovani. Anzi, «crede nelle energie positive delle giovani generazioni … ed è capace di uscire dalle proprie sicurezze per accogliere la fragilità, la precarietà sperimentata dalle giovani e dai giovani, di mettersi in dialogo e ripensare con loro l’esperienza umana e religiosa». Nel sogno, Giovannino, spaventato per il compito che gli è posto davanti domanda al personaggio luminoso: «Chi siete voi, soggiunsi, che mi comandate cosa impossibile?». A questa domanda il personaggio risponde: «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili coll'ubbidienza e coll'acquisto della scienza». Educare non è facile. L’educatore deve impegnarsi ad educare se stesso. Il riferimento all’obbedienza e all’acquisto della scienza richiama il fatto che l’educatore è uno che si lascia educare ed accompagnare. Può accompagnare solo colui o colei che ha avuto l’esperienza di essere accompagnato/a. L’accompagnamento è un’arte che si impara lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e impegnandosi nell’acquisizione di competenze specifiche.
Maria è Madre e educatrice nostra Per don Bosco, come per noi, il sogno dei nove anni è una preziosa consegna – Gesù ci dona sua Madre come aiuto e maestra: «Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». La storia salesiana è ricca di racconti della presenza viva e percepibile di Maria. Siamo invitati a lasciarci prendere per mano da lei per imparare come trasformare la nostra vita e quella delle giovani e dei giovani. Esiste il rischio che il rapporto con Maria si riduca o scada in devozionismo. Le varie espressioni della pietà popolare nei confronti di Maria non sono fini a se stesse. Esse devono essere la manifestazione di una conoscenza personale di Lei che per noi è coLei che ci indica la meta da conseguire come persone umane. «Maria di Nazareth, la creatura umana maggiormente conformata a Cristo, ci insegna a contemplare il volto del Figlio, ad essere discepole di Lui nel pellegrinaggio della fede che accompagna l’intera esistenza e sfocia nella vita piena». Un primo ed importante passo è di conoscere Maria nei Vangeli. Sono pochi i brani evangelici che parlano di Maria, ma in ognuno possiamo scoprire un messaggio su come affrontare le vicende della vita con fede, gioia e speranza.