In anteprima per voi le immagini delle T-shirt e delleFelpe"Ho Cura di Te"realizzate da Oragiovane sulla base della riflessione fatta sulla Strenna 2012 del Rettor Maggiore dei Salesiani.
Sentiamo nascere forte dentro di noi l'esigenza di comunicare con determinazione questo desiderio di volerci prendere cura di loro; dei nostri ragazzi e dei nostri animatori!
L'illustrazione realizzata dal Laboratorio d'Arte diretto da Luca Baldi, raffigura un grazioso Pulcino che protegge il suo amico Elefantino dalle intemperie.
Ci è sembrato un modo simpatico per reinterpretare questo nostro grande messaggio:
"Per quanto possiamo ritenerci piccoli e privi di grandi mezzi, animati dallo spirito creativo di educatori, possiamo davvero fare molto per coloro che ci stanno attorno. Avendo cura di loropossiamo essere punti di riferimento che aiutano a camminare nella direzione giusta!"
Dalla Strenna 2012 emerge un messaggio forte che Oragiovane ha voluto far presto suo.
Dice il Rettor Maggiore:
<< [...] Essere fedeli a Don Bosco significa conoscerlo nella sua storia e nella storia del suo tempo, fare nostre le sue ispirazioni, assumere le sue motivazioni e scelte. Essere fedeli a Don Bosco e alla sua missione significa coltivare in noi un amore costante e forte verso i giovani, specialmente i più poveri. Tale amore ci porta a rispondere ai loro bisogni più urgenti e profondi. Come Don Bosco ci sentiamo toccati dalle loro situazioni di difficoltà: la povertà, il lavoro minorile, lo sfruttamento sessuale, la mancanza di educazione e di formazione professionale, l’inserimento nel mondo del lavoro, la poca fiducia in se stessi, la paura davanti al futuro, lo smarrimento del senso della vita.
Con affetto profondo e amore disinteressato cerchiamo di essere presenti in mezzo a loro con discrezione ed autorevolezza, offrendo proposte valide per il loro cammino, le loro scelte di vita e la loro felicità presente e futura. In tutto ciò ci rendiamo loro compagni di cammino e guide competenti. In particolare, cerchiamo di comprendere il loro nuovo modo di essere.
Ci prendiamo cura di loro durante tutto il loro cammino di crescita e maturazione, dedicando loro il nostro tempo e le nostre energie e stando con loro, nei momenti che vanno dalla fanciullezza alla giovinezza.
Ci prendiamo cura di loro, quando difficili situazioni, come la guerra, la fame, la mancanza di prospettive, li portano all’abbandono della propria casa e famiglia ed essi si trovano soli ad affrontare la vita.
Ci prendiamo cura di loro, quando dopo lo studio e la qualificazione, sono ansiosamente alla ricerca di una prima occupazione di lavoro e si impegnano a inserirsi nella società, talvolta senza speranza e prospettive di riuscita.
Ci prendiamo cura di loro, quando stanno costruendo il mondo dei loro affetti, la loro famiglia, soprattutto accompagnando il loro cammino di fidanzamento, i primi anni del loro matrimonio, la nascita dei figli (cf. GC26, 98.99.104).
Ci sta particolarmente a cuore colmare il vuoto più profondo della loro vita, aiutandoli nella ricerca di senso e soprattutto offrendo un percorso di crescita nella conoscenza e nell’amicizia con il Signore Gesù, nell’esperienza di una Chiesa viva, nell’impegno concreto per vivere la loro vita come una vocazione. [...] >>
Ecco allora che sentiamo nascere forte dentro di noi l'esigenza di comunicare con determinazione questo desiderio di volerci prendere cura di loro; dei nostri ragazzi e dei nostri animatori!
Dalla consapevolezza che il mondo ha bisogno di messaggi che comunichino buoni valori, Oragiovane ha pensato ad una nuova linea di abbigliamento che esprimaun nuovo modo di tessere relazioni autentiche.
Abbiamo da poco iniziato il triennio di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco. Questo primo anno ci offre l’opportunità di avvicinarci di più a lui per conoscerlo da vicino e meglio. Se non conosciamo Don Bosco e non lo studiamo, non possiamo comprendere il suo cammino spirituale e le sue scelte pastorali; non possiamo amarlo, imitarlo ed invocarlo; in particolare, ci sarà difficile inculturare oggi il suo carisma nei vari contesti e nelle differenti situazioni. Solo rafforzando la nostra identità carismatica, potremo offrire alla Chiesa e alla società un servizio ai giovani significativo e ricco di frutti. La nostra identità trova il suo riferimento immediato nel volto di Don Bosco; in lui l’identità diventa credibile e visibile. Per questo il primo passo che siamo invitati a fare nel triennio di preparazione è proprio la conoscenza della storia di Don Bosco.
Carissimi fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana ed amici di Don Bosco, vi saluto con il grande affetto e la stima che nutro per ciascuno di voi augurandovi un anno nuovo ricolmo delle benedizioni che il Padre ha voluto darci nella incarnazione del suo Figlio.
Vi scrivo per presentare la Strenna del 2011, con la certezza di farvi un dono gradito sia per il valore che la Strenna come tale ha nella nostra tradizione salesiana dai tempi di Don Bosco, sia per il tema scelto che interessa la nostra vita, la nostra missione e la nostra capacità di aiutare a scoprire che la vita è vocazione, sia pure per il momento che viviamo come Chiesa e Famiglia Salesiana, soprattutto in Occidente.
Dopo la Strenna del 2010, “Signore, vogliamo vedere Gesù”, sull’urgenza di evangelizzare, mi è sembrata la cosa più logica e naturale fare un accorato appello a tutta la Famiglia Salesiana a sentire, insieme a noi SDB, la necessità di convocare. Infatti, noi salesiani
“sentiamo oggi più forte che mai la sfida di creare una cultura vocazionale in ogni ambiente, in modo che i giovani scoprano la vita come chiamata e che tutta la pastorale salesiana diventi realmente vocazionale. Ciò richiede di aiutare i giovani a superare la mentalità individualista e la cultura dell’autorealizzazione, che li spinge a progettare il futuro senza mettersi in ascolto di Dio; ciò domanda pure di coinvolgere e formare famiglie e laici. Un impegno particolare deve essere messo nel suscitare tra i giovani la passione apostolica. Come Don Bosco siamo chiamati ad incoraggiarli ad essere apostoli dei loro compagni, ad assumere varie forme di servizio ecclesiale e sociale, a impegnarsi in progetti missionari. Per favorire un’opzione vocazionale di impegno apostolico, a tali giovani si dovrà proporre una vita spirituale più intensa e un accompagnamento personale sistematico. È questo il terreno in cui fioriranno famiglie capaci di autentica testimonianza, laici impegnati ad ogni livello nella Chiesa e nella società ed anche vocazioni per la vita consacrata e per il ministero”.
Quello che chiamiamo“comportamento puerile” è un riflesso dell’adeguatezza della socializzazione, e non si deve assolutamente considerare l’espressione degli impulsi naturali del bambino.
Se mi venisse chiesto di spiegare, in poche parole, quale potrebbe essere il senso di un contributo dell’antropologia allo studio dell’adultità, probabilmente non troverei modo migliore per rispondere del fare mia la considerazione di J.D. Ingleby a proposito dell’infanzia: “ La lezione dell’antropologia ( ..) è che sono possibili molto varietà di sviluppo- e persino la stessa nozione di infanzia- sono del tutto specifiche della nostra cultura” (ingleby 1986, p.301). Anche la nozione di adultità è infatti specifica della nostra cultura.
Con questo non intendo affermare – né lo intendeva in realtà Ingleby- che i concetti di infanzia e di adultità, e soprattutto quello di sviluppo, non siano presenti in altre culture; sarebbe certamente un’esagerazione che chiunque potrebbe facilmente smentire. Nella maggior parte delle culture studiate dagli antropologi, le cosiddette culture” primitive”, si rileva tuttavia una fondamentale differenza rispetto alla cultura occidentale che merita la nostra attenzione.
Noi siamo abituati a pensare all’adultità come un periodo separato della vita dell’individuo, quello nel quale soltanto egli è soggetto sociale a pieno titolo. In altri termini, il corso della vita viene concepito come suddiviso in tre principali stadi- infanzia- adultità- vecchiaia- che, a ben guardare, non costituiscono un continum L’infante e l’adolescente non sono ancora, il vecchio non è più, solo l’adulto è. Questo può essere spiegato, sia pure semplificando il discorso, in virtù del fatto che solo l’adulto è pienamente inserito nel processo produttivo, ed è appunto la collocazione rispetto a esso che permette di classificare i membri del gruppo. Per la stessa ragione la condizione del bambino risulta oggettivamente meno “ disperata” di quella dell’anziano, poiché egli sarà un domani adulto e quindi la società può e deve investire su di lui, mentre l’anziano ne ha perduto irrimediabilmente lo status ed è quindi percepito soltanto come un elemento parassitario.
Queste brevi considerazioni sono già in sé sufficienti a farci capire come, per noi, il corso della vita sia caratterizzato da una sostanziale discontinuità, e come il suo svolgersi sia ritmato da una serie di passaggi . E’ opportuno tuttavia ampliare le nostre argomentazioni, allo scopo soprattutto di evitare la diffusa convinzione che ciò rifletta una realtà oggettiva, “ naturale”, mettendone invece in evidenza la matrice essenziale “ culturale”